
La Grande Guerra Aerea - 2.3 - 1915 - Aeronavi all'attacco
	
	
	Dopo un faticoso esordio avviato già il 27 maggio 
	quando le aeronavi
	M1
  e successivamente il 
  P5 videro la 
	loro strada sbarrata 
	da forte vento e nel passare le linee furono fatte segno ad un fuoco fitto 
	di fucileria che lasciò evidenti segni sugli involucri, le operazioni 
	terrestri furono momentaneamente accantonate per venire incontro ad un a 
	richiesta del Comando in Capo di Venezia, che sollecitava un’azione in massa 
	delle aeronavi su 
	
	Pola, con lo scopo di colpire e mettere fuori uso le 
	installazioni della stazione idrovolanti di
	S. Caterina. 
	L’M1, in 
	particolare, al rientro dalla missione, aveva anche subito due squarci lasciati 
	dal passaggio di una granata fortunatamente non esplosa.  Più inquietante 
	ancora della spiacevole scoperta dell’estrema vulnerabilità al tiro delle 
	armi leggere era il sospetto che la granata fosse stata in effetti sparata 
	da una torpediniera italiana. In quei primi giorni di guerra era tale la 
	novità rappresentata dai mezzi aerei che, anche a causa della mancanza di 
	procedure di riconoscimento ben definite, incidenti di questo tipo  si 
	sarebbero  spesso ripetuti, senza peraltro gravi conseguenze.  Il 28 maggio 
	l’Ufficio Servizi Aeronautici comunicò perciò ai comandanti dei dirigibili
	M1 e P5 di tenersi pronti ad agire quanto prima di concerto con il 
	P4 ed 
	ordinò al contempo al 
	
	P5 di trasferirsi a
	
 Campalto per ridurre la distanza 
	da percorrere. La realtà della situazione  non era però in linea con i 
	desideri dei comandi e le condizioni di efficienza dei due dirigibili erano 
	ben lontane dall’essere soddisfacenti.  Dopo l’azione su Porto Rosega il
	
 P5 
	aveva bisogno di una accurata revisione dei motori e l’M1, oltre alla 
	riparazione  dei fori e degli strappi riportati  dalla sua prima missione di 
	guerra, doveva essere rifornito di idrogeno, un operazione relativamente 
	semplice ma destinata a prolungarsi nel tempo per il cattivo funzionamento 
	del generatore di gas di Campalto. Fu quindi solo il 
	
	P4 del capitano 
	
	Valle a 
	portarsi sulla piazzaforte istriana  nella notte sul 30 maggio ed a lanciare 
	sulla stazione idrovolanti poco più di 200 chilogrammi di bombe. L’aeronave 
	si innalzò rapidamente da Campalto e da una quota di 500 metri pose la prua 
	per 140° con un leggero vento sulla dritta che tendeva a far scadere il volo 
	verso Est. A bordo oltre il capitano Valle, il tenente 
	Pricolo e il sergente 
	Mantovani. Alle 21,30 sono a 1000 metri e immerso nel buio perfetto, 
	l’equipaggio intravede a 5 km a Est il Canale di Leme e i lumi non 
	perfettamente oscurati di Rovigno. Tenendosi a 5-10 km dalla costa giunge 
	all’altezza di Pola e prosegue per aggirarla da Sud Est come pianificato, 
	con una rotta che l’avrebbe portata a sorvolare il numero maggiore di 
	obiettivi da battere. Alle 22,30 la luna comincia a sorgere ma una 
	provvidenziale copertura nuvolosa impedisce l’avvistamento  del dirigibile, 
	pur permettendo all’equipaggio di distinguere perfettamente il terreno.  
	L’attacco inizia con rotta da Punta Veruda-Arsenale ad una quota di 1300 
	metri inclinati 10° gradi a salire. Avendo terminato la zavorra si conta di 
	alzarsi di altri 150 metri con l’alleggerimento dovuto al rilascio delle 
	bombe. Pola è parzialmente illuminata  e forse le difese sono già in allarme 
	come si può evincere dallo spostarsi di lumi nel porto e a terra.  Si 
	effettuano i calcoli di velocità e di quota per  impostare il traguardo di 
	circostanza, Pricolo è al traguardo, Valle in ginocchio sulla prua tiene i 
	due timoni e dirige l’aeronave sul bersaglio. Al punto stabilito il tenente 
	Pricolo rilascia i due proietti da 162 mm, e il sergente Mantovani fa lo 
	stesso con i 4 ordigni da 130 mm. Dopo 17 interminabili secondi i 6 colpi 
	furono visti cadere sull’obiettivo con grande fragore e vampate di fuoco. 
	Quasi istantaneamente si accendono i proiettori delle difese che iniziano a 
	spazzare velocemente il cielo alla ricerca dell’aeronave. Nel frattempo, 
	continuando ad avanzare, l’aeronave era giunta a tiro dell’isolotto di 
	S. Caterina sede degli idrovolanti e lancia le sei torpedini incendiarie. Nel 
	frattempo il dirigibile è salito di 250 metri e si è immerso in un fitto, e 
	provvidenziale, strato di nubi tra 1550 e 1700 metri, che lo nascondono ai 
	fasci di luci dei proiettori. La luna è ormai visibile e si calcola di 
	essere presso a poco sul terzo bersaglio: i depositi di nafta. Il terreno 
	non si vede ma i proiettori che attraversano la nebbia indicano chiaramente 
	la linea di costa. Si lanciano le ultime due torpedini da 162 e si vede lo 
	scoppio e si sente il rumore.  All’improvviso lo schermo delle nubi svanisce 
	e l’aeronave si trova allo scoperto, viene immediatamente individuata da un 
	proiettore che subito richiama su di esso anche gli altri. Sono a 1750 metri 
	di quota e con una rapida virata si punta verso un fitto banco di nubi che 
	quasi subito li avvolge e li sottrae all’inseguimento luminoso. Piove e 
	tutto il pallone e la navicella grondano acqua. L’aeronave esce dalle nubi a 
	4 chilometri da Pola, le luci dei proiettori lo lambiscono ma ormai sono 
	invisibili. Si contano i proiettori: sono 34 e da lontano si scorgono le 
	vampate delle artiglierie contraeree che sono più di dieci!  La prua viene 
	posta verso Nord Nord Ovest, verso casa. Sono le 23,15 e sono all’altezza 
	dell’isola di Brioni.  L’attacco era iniziato alle 22,55. Dopo circa due ore 
	e trenta si intravede terra, si scende a 100 metri di quota al 
	riconoscimento del faro di Piave a circa 15 chilometri a Nord Est di 
	Venezia. Con il megafono si avverte il personale del faro di comunicare a 
	Venezia  l’imminente l’arrivo per evitare allarmi e fuoco amico. A bordo è 
	rimasto un solo sacchetto di sabbia  (15 kg) per la zavorra e una sola latta 
	di benzina. Tutto il resto era stato buttato fuori bordo per raggiungere la 
	quota prevista di 1450 metri su Pola e per fermare la discesa. Le verifiche 
	a terra permisero di constatare che l’aeronave aveva 7 fori di proiettili 
	che avevano attraversato completamente l’involucro, 3 a prua e 4 a poppa. 
	
Il 6 giugno, il P4, parte per una seconda ricognizione offensiva sulla piazzaforte istriana con lo stesso equipaggio. Alle 20,35, con 208 chilogrammi di bombe a bordo e attrezzato per raggiungere la massima quota, si pone nuovamente la rotta su 140°, poi si piega verso Est e dopo 30 minuti di volo si riconosce Capo Promontore da una quota di 1550 metri. Si entra in terra fra Capo Merlera e si punta su Pola. Malgrado il buio si riconosce nettamente lo scoglio degli Ulivi, ma a differenza della volta precedente, la piazzaforte è in una oscurità assoluta, una oscurità che nasconde l’agguato. Appena entrati in terra si accendono a poppa i proiettori di Capo Promontore che iniziano a frugare il cielo: sono le 0,30; si punta sullo scoglio degli Ulivi e all’altezza di Veruda un fascio investe l’aeronave. Immediatamente, si prua si accendono i proiettori dell’Arsenale, accecando la visuale dei piloti. Ma ormai il dirigibile è sull’Arsenale e rilascia ad intervalli di pochi secondi tutte le 12 torpedini. Da bordo si sentono bene tutte le esplosioni, le prime presso la Caserma di Marina, le ultime dentro l’Arsenale, a circa 100 metri a Sud Est dei fabbricati del Comando. Per non entrare nel raggio di tiro delle batterie antiaree poste all’ingresso del porto, il dirigibile P4 piega verso Nord Est, ma tuttavia un fitto fuoco antiaereo lo prende di mira, accompagnato da circa 20 proiettori. Non sembra che in porto fosse ancorata la flotta. Alcuni proiettili passano a 50-100 sotto la navicella, a prua e a poppa. Uno shrapnel scoppia vicinissimo, pochi metri sotto e di fianco. Comprendendo che occorre far quota per sottrarsi alla minaccia, da bordo si getta fuori tutto il possibile e l’aeronave raggiunge la quota di 2450 metri. I colpi scoppiano sempre intorno al pallone, ma alquanto più in basso. Il dirigibile piega a Ovest inseguito dai proiettori di Punta Barbariga che lo illuminano, allora si dà la barra tutta a sinistra verso il mare aperto, dove si entra tra Brioni Minore e Punta Barbariga. Alle 1,10 l’aeronave è ormai al sicuro a 4 chilometri dalla costa, era rimasto nella zona di fuoco, sempre in luce, per quaranta minuti. Atterraggio alle 4 del mattino con la navicella vuota e con benzina per un’ora di volo.
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