Il Fronte del Cielo - 9.1 - Dirigibili e Draken - L'esordio
All'apertura
delle ostilita con l'Austria-Ungheria il parco aeronavi del Regio Esercito
comprendeva i dirigibili
M1, dislocato a
Campalto, sotto il comando del
capitano Seymandi, il
P5, a
Boscomantico, agli ordini del capitano Merzari, e
il
P4, pure a
Campalto, affidato al capitano
Valle. A differenza dei primi due,
il
P4 era a disposizione della Regia Marina e dipendeva quindi per
l'impiego dal Comando in Capo del Dipartimento Marittimo di Venezia, al
quale rispondevano anche i due dirigibili appartenenti alla marina, il
Città di Ferrara (M2), operante da
Iesi, agli ordini del tenente di
vascello Castracane, ed il
Città di Jesi (V1), schierato sull'aeroscalo di
Ferrara ed affidato al tenente di
vascello Brivonesi. In fase più o meno avanzata di collaudo erano poi i
dirigibili del Regio Esercito
M3 a
Vigna di Valle,
M4 a
Torino-Mirafiori
ed
F3, Città di Milano II, presso il cantiere milanese di
Baggio. Ad entrare in azione per primi furono i due dirigibili della Regia Marina,
inviati in missione già nella notte tra il 23 ed il 24 maggio 1915 con il
compito di battere le installazioni della munita piazzaforte marittima di
Pola e di intercettare le unità navali nemiche che avessero tentato di
avvicinarsi alla costa italiana. Per quanto non se ne avesse un chiaro
sentore, la marina austro-ungarica aveva preparato da tempo una vasta
operazione da eseguire nelle prime ore di guerra che, con l'intervento
della quasi totalità delle forze disponibili, avrebbe dovuto sconvolgere le
linee di comunicazione lungo la costa adriatica nel duplice intento di
rallentare la mobilitazione e la radunata dell'esercito italiano e di
acquisire un vantaggio psicologico affermando la propria supremazia sulle
acque dell'Adriatico. Delle due aeronavi soltanto il
Città di Ferrara venne però a trovarsi coinvolto nei combattimenti di quella
notte. Il V1, partito da Ferrara per portarsi al largo della costa
marchigiana e romagnola, fu infatti costretto dal vento contrario, e
soprattutto dal cattivo funzionamento dei motori, a rientrare anzitempo alla
base. Il
Città di Ferrara invece,
dopo essere stato avvistato e cannoneggiato senza risultato da un nucleo di
unità leggere nemiche in crociera di protezione, tentò di colpire la nave
da battaglia che aveva appena bombardato gli impianti di Senigallia, senza
peraltro riuscire a mettere a segno nessuna delle sei bombe sganciate, e. e
rientrò quindi indenne a
Iesi, dove il cantiere era stato nel frattempo
attaccato da un solitario idrovolante. L'azione dell'M2 contro una corazzata
in mare aperto doveva restare un caso isolato, in quanto in seguito l'azione
dei dirigibili si sarebbe indirizzata soprattutto contro bersagli a terra od
al più contro unità alla fonda, ma anticipava sorprendentemente le
caratteristiche del confronto tra il mezzo aereo, nelle sue varie accezioni,
e la nave da guerra, destinato a svilupparsi nei decenni a venire. Le aeronavi del Regio Esercito rimasero
inoperose nei primi giorni di guerra e del resto lo strumento militare
italiano era ancora impegnato in quelle operazioni di mobilitazione e di
radunata che ne avrebbero negativamente condizionato le prime mosse. Il 26 maggio furono diramati i primi ordini di operazione ai
dirigibili
M1 e
P5, assegnando al primo il compito di bombardare le opere
militari di Laibach (Lubiana) ed al secondo quello di attaccare la centrale
elettrica di Porto Rosega, presso Trieste. Le difficoltà incontrate nell'esecuzione
di questi ordini avrebbero rappresentato una prima, inequivocabile
indicazione degli ostacoli a volte insormontabili che le aeronavi dovevano
affrontare. All'intrinseca fragilità del mezzo si accompagnava infatti la
ben nota sensibilità alle condizioni atmosferiche ed il tutto veniva reso
ancora più difficile dalla scoperta di una capacità di intervento delle
difese contraeree avversarie superiore al previsto e tale da richiedere
prestazioni ben maggiori a quelle dei dirigibili in servizio.
Nella notte sul 27 maggio l'M1 si vide la
strada sbarrata dal forte vento contrario e nel passare le linee venne
fatto segno ad un fitto fuoco di fucileria che lasciò segni evidenti
sull'involucro. Dopo aver lanciato una granata-mina da 179 mm sulla linea
ferroviaria Trieste-Gorizia nei pressi di S. Croce, causando qualche danno,
il dirigibile rientrò a
Campalto dove oltre ai numerosi fori di pallottola, furono trovati
anche due squarci lasciati dal passaggio di una granata fortunatamente non
esplosa. Un episodio analogo contribuì comunque a far fallire l'azione del
P5 che,
già rallentato dal vento si vide costretto a rinunciare quando, durante
l'avvicinamento al fronte, venne bersagliato da un fitto fuoco di fucileria
ad opera di reparti italiani. Portatosi sul mare per allontanarsi da questa
inattesa minaccia il piccolo dirigibile ritornò a
Campalto. Da quello
stesso cantiere era partito il
P4, inviato in missione di bombardamento su
Pola per conto della Regia Marina e costretto a sua volta ad un rientro
anticipato dall'incontro ad una trentina di chilometri dalla laguna di
Venezia con una formazione di torpediniere nemiche. L'unica aeronave a raggiungere
l'obiettivo fu il Città di Ferrara che, uscito su ordine del Comando in Capo di Venezia, riuscì a lanciare
il suo carico di bombe su alcune navi alla fonda davanti a Sebenico con
risultati peraltro incerti. Il
fallimento di quella notte fu parzialmente compensato il giorno seguente
quando il
P5 riuscì a portare a termine il compito di bombardare la centrale
di Porto Rosega, mettendo a segno, secondo i rapporti, tutte le sue bombe
prima di tornare a
Campalto per rifornirsi di benzina e proseguire quindi
per Boscomantico.
Dopo questo faticoso esordio le operazioni sul fronte terrestre sarebbero state momentaneamente accantonate per venire incontro ad una richiesta del Comando in Capo di Venezia, che sollecitava un'azione in massa delle aeronavi su Pola, con lo scopo di colpire e mettere fuori use le installazioni della stazione idrovolanti di S. Caterina. Il P5 fu nuovamente pronto ad entrare in azione il 1 giugno e due giorni più tardi fu possibile ripristinare l’efficienza dell' M1. Le due aeronavi del Regio Esercito avrebbero dovuto appoggiare tra il 4 ed il 5 giugno il passaggio dell’Isonzo da parte delle forze della 3^ Armata schierate sulla sinistra del fiume tra Pieris ed Isola Morosini e chiamate ad avanzare su Ronchi e Monfalcone. II compito affidato ai dirigibili era di natura eminentemente tattica, accantonati infatti gli obiettivi in profondità e le installazioni logistiche, i bersagli assegnati erano le batterie ed i concentramenti di truppe nella zona tra Savogna. Gorizia e Monte Santo per l'M1 e tra S. Pietro d'Isonzo, Sagrado e Monte S. Michele per il P5. Ma ancora una volta la volontà degli uomini nulla potè contro le forze della natura: dopo ripetuti tentativi, alle 0.25 del 6 giugno, Campalto doveva segnalare ad Udine che il vento al traverso era da impedire l'uscita dei dirigibili dall'hangar. L'operazione fu tentata di nuovo nella notte sul 7 giugno con risultati ancora deludenti. Le sfavorevoli condizioni atmosferiche tennero le aeronavi a terra annullando i preparativi fatti dagli equipaggi. Di contro in quello stesso periodo, il P4. trovando sul mare condizioni migliori, era riuscito nella notte tra il 5 ed il 6 giugno a raggiungere nuovamente Pola ed a colpire la zona dell'arsenale rientrando poi indenne a Campalto Proprio il successo ottenuto da Valle e dai suoi uomini fu probabilmente la causa scatenante dell'attacco portato al cantiere veneziano alle 4.30 dell'8 giugno da un idrovolante nemico. Tre delle quattro bombe sganciate esplosero causando danni di modesta entità alle infrastrutture ed al dirigibile P4, raggiunto da qualche scheggia all'interno dell'hangar, ma certo più gravi dei vetri rotti, delle lamiere bucherellate e degli strappi nell'involucro del dirigibile furono le perdite tra il personale,un morto e cinque feriti. Era la seconda volta che un aeroscalo veniva preso di mira e ben presto l'aggravarsi della minaccia avrebbe imposto l'adozione di speciali misure di protezione. L'impatto emotivo del bombardamento fu però superato dall'impressione suscitata dalla perdita del dirigibile Città di Ferrara, partito quella stessa notte per andare a colpire il silurificio Whitehead di Fiume ed abbattuto dalla contraerea subito dopo aver lanciato le sue bombe, con la morte di due uomini dell'equipaggio e la cattura degli altri. La tragica fine dell'aeronave indicava chiaramente che le ipotesi d'anteguerra sull'impiego dei dirigibili erano ormai superate e che occorreva cercare soluzioni diverse, puntando a migliorare la velocità e soprattutto la capacità di far quota.
Da: "I Dirigibili Italiani nella Grande Guerra. Basilio Di Martino.
Ufficio Storico Aeronautica Militare 2005
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