Il Fronte del Cielo - Le Idee - Gianni Caproni
Gianni Caproni era nato a Massone d'Arco (Trentino),nel luglio del 1886. Fatte le scuole secondarie, si era iscritto al Poll tecnico di Monaco: aveva appena 17 anni. Conseguita la laurea in ingegneria civile, sispecializzò in elettrotecnica presso l'Istituto Montefiore di Liegi. A Liegi avvicinando esperti d'aviazione e pionieri, e assistendo ad esibizioni d volo, nacque in lui la vocazione per la tecnica aeronautica, un terreno ancora vergine, inesplorato, ricco di affascinanti scoperte e di eccezionali prospettive. Sebbene consapevole delle enormi difficolta cui andava incontro, Caproni non esitò: quella era la sua strada. E senza por tempo in mezzo, rientrato in Italia, nella nativa Arco, si mise al lavoro. In breve concepì e disegno un aereo di tipo biplano, e con mezzi di fortuna, ovvero senza adeguati mezzi finanziari, pezzo dopo pezzo, lo costruì. Incollato l'ultimo lembo di tela e serrato l'ultimo bullone, il giovane ingegnere si mise alla ricerca di un prato ampio e privo di ostacoli periferici, su cui sperimentare la macchina. Nel montagnoso Trentino non c'era niente da fare. Dopo molte esplorazioni nella pianura padana, la sua scelta cadde sulla brughiera di Gallarate, nella zona della Malpensa, allora adibita ad esercitazioni di cavalleria, e quivi, ai primi di aprile del 1910, ottenuto il permesso dal Comando della divisione Militare di Milano e dal Comune di Somma Lombardo, edificò alla meglio, con assi puntellate e tela catramata, un rudimentale capannone; e la dentro, con movimentato viaggio, vennero trasportati gli organi del biplano, e rimontati. Sorse quindi un nuovo grave quesito: a chi affidare il collaudo dell'apparecchio, tenuto conto che in Italia non esistevano piloti? Cercarne uno in Francia nemmeno a pensarci: avrebbe chiesto una cifra proibitiva. Breve: venne assunto un certo Ugo Tabacchi, un giovane svelto, ardimentoso, di professione autista di pullman, nonchè valente meccanico. Tabacchi non sapeva nulla di aeronautica; non aveva mai visto da vicino un aeroplano. Fu dunque necessario istruirlo, insegnarli (insegnamento impartito a terra naturalmente, sul velivolo fermo) come andavano azionati i comandi e condotto il motore, nelle varie fasi del volo. Con siffatta preparazione, il mattino del 27 maggio, l'improvvisato aviatore, sale con piglio deciso sulla fusoliera, si stringe intorno alle reni la cintura di sicurezza, e muove alla conquista dell'aria. Momenti di orgasmo. I pochi spettatori, al suolo, sono più emozionati dello stesso pilota. Percorso serpeggiando un breve tratto di brughiera, il piccolo biplano, con il suo motorino da 25 cavalli, si stacca, s'innalza di qualche metro e già sembra che l'animoso Tabacchi riesca in qualche modo a cavarsela, allorchè il velivolo, di colpo, sbanda e precipita. L'uomo viene estratto, miracolosamente indenne, da un groviglio di legno e di tela. Nelle settimane seguenti Caproni elabora i piani e costruisce, di nuovo con scarsi mezzi e tuttavia con sorprendente rapidità, altri due biplani: erano già pronti per il collaudo, quand'ecco scatenarsi una tremenda bufera. Coinvolto nel turbine, il capannone traballa, assi e travi si abbattono sulle ali dei due apparecchi, Ia stessa vita di Gianni Caproni è in pericolo. Usando Ia macchina che aveva sofferto i danni minori — presto riparata — Ugo Tabacchi s'ingegna ora a impratichirsi nell'arte del pilotaggio, effettuando lunghe rullate e qualche fugace volo a pochi palmi da terra; e con l'altra, appena rimessa in sesto, il 12 agosto 1910, al cospetto di un folto pubblico accorso dai paesi circostanti, ritenta la prova. Stavolta le cose vanno un po' meglio: levatosi in aria, I'apparecchietto, ancora azionato da un motore da 25 cavalli, percorre I'intera lunghezza della brughiera, sorvola il ciglione verso Gallarate, vira, plana, ma nell'atterraggio picchia bruscamente contro iI suolo riportando avarie al carrello ed ai timoni di coda. Segue un periodo di inazione dovuto all'inclemenza del tempo, alla chiamata alle armi di Ugo Tabacchi, all'improvviso rimpatrio del pilota rumeno Catargi, chiamato a sostituirlo. I contrasti, le vicissitudini e le complicazioni sono tutt'altro che finite. Nei primi mesi del 1911, il Comando della Divisione di Milano ordina all'ing. Caproni di sloggiare dalla Malpensa, perchè la località è stata prescelta per allestirvi un campo di aviazione militare; il bello è che l'idea di attuare proprio alla Malpensa un Aeroporto per le Forze Armate, fiancheggiato da officine aeronautiche, era partita dallo stesso progettista trentino. II quale, messo elegantemente in disparte, deve ora studiare di risolvere un duplice problema: cercare nei dintorni una distesa di terreno pianeggiante per continuare a sperimentare velivoli; attingere da qualche parte i finanziamenti necessari per il potenziamento dell'impresa, portata avanti, come si è visto, a gran fatica, in dimensioni artigianali. Eppure Gianni Caproni uscirà vincente dall'impasse. Mentre infatti si accinge a smontare gli aeroplani alloggiati nel capannone della Malpensa, la sorte vuole che s'incontri con l'ingegnere bergamasco Agostino de Agostini, anch'egli un patito d'aeronautica. E' un industriale dalla solida posizione economica. Poichè Gianni Caproni possedeva come pochi Ia qualità di conquistarsi, sin dalla prima stretta di mano, la simpatia, la stima e la fiducia degli uomini, in men che non si dica venne stipulato un accordo. Nacque cosi la a Società degli Ingg. De Agostini-Caproni col programma di costruire un'officina aeronautica e di creare — prima del genere in Italia — una scuola di volo. Come mossa iniziale si provvide a rilevare ai margini della brughiera di Gallarate, nella zona di Vizzola Ticino, un capannone, in cui vi era custodito un Bleriot, acquistato dal Sig. Gherardo Brianza, in Francia, con l'intento di impiegarlo come aereo scuola. Rilevato altresì, per ampio raggio, l'adiacente terreno, vennero in breve edificati tre hangars; e mentre l'ing. De Agostini, residente in Francia, rimpatriava per collaborare all'impresa, Caproni ultimava la costruzione, iniziata alla Malpensa, di un monoplano da 28 cavalli, da utilizzare per l'istruzione degli allievi piloti. Al collaudo il velivolo, condotto dal giovane Enrico Cobioni, volava felicemente per oltre quaranta minuti, alla velocità di 90 chilometri orari. La società ebbe breve vita; quantunque la scuola, prima del sopraggiungere dell'inverno, fosse riuscita a far conseguire a 72 candidati il brevetto di pilota aviatore non fu possibile incrementarne l’attività, né sviluppare, sotto il profilo industriale, l'azienda. L'assenteismo del governò (ministri e senatori, in quei tempi, nulla sapevano di cose aviatorie; avevano la vista corta; non distinguevano si può dire, un aeroplano da un cervo volante), la carenza di capitali e le proibitive condizioni atmosferiche che interdissero le lezioni di volo, e, infine, una gravissima infezione tifoidea, che per oltre due mesi, tenne immobilizzato a letto Caproni, indussero De Agostini a ritirarsi dalla Società. Rimasto solo Caproni riuscì per qualche tempo a tirare avanti con le proprie forze. Nel dicembre del 1911 si unì al sig. Carlo Comitti e la nuova società, finanziariamente abbastanza robusta, provvide anzitutto alla costruzione ed al lancio di nuovi perfezionati modelli di aeroplani. Con essi nel 1912, furono conquistati parecchi primati mondiali di velocità, distanza e durata in circuito chiuso. (Il Ca. 9 propulso da un motore Anzani da 35 cavalli percorse, il 30 gennaio 1912, 148 chilometri in 2 ore e 4 minuti). Vennero pure portati a termine vari raids, fra cui quello di Vizzola-Locarno-Vizzola, notevole per l'epoca, in quanta la trasvolata del Lago Maggiore, perturbato in ogni senso da impetuose correnti d'aria the derivano dalle montagne circonvicine, era considerata, dagli esperti, un'avventura mortale. Nel settembre del 1912, col ritiro di Comitti, sorge la “Società degli Ingg. Caproni-Faccanoni”. Quest'ultimo era un noto impresario di lavori edili, che operava in Italia ed in Austria. I due si erano conosciuti a Vienna in occasione di una competizione aerea internazionale, cui aveva partecipato un apparecchio di Caproni. All'inizio del 1913 si presentava a Vizzola Ticino il pilota russo Charon Slavorosoff con l'intento di acquistare un'elica per un vecchio Bleriot, di sua proprietà, con cui eseguiva, in Svizzera, esibizioni di volo. L'Ing. Caproni che alle gare viennesi aveva conosciuto il giovane e ne aveva apprezzato le eminenti qualità aviatorie, non si lasciò sfuggire l'occasione, e, dopo breve trattative, lo assunse come collaudatore della nuova società. Iniziativa felice. Il 24 gennaio Slavorosoff, a bordo di un a Ca. 15 da 80 cavalli, batteva il primato mondiale di volo con passeggero, percorrendo dapprima 200 chilometri alla media di 103 chilometri, e poscia 250 chilometri alla media di 104. Nel frattempo, la Società Italiana d'Aviazione, la Gazzetta dello Sport ed il Touring Club d'Italia, già benemerite per l'impulso dato allo sport aviatorio, organizzando a Brescia ed a Milano, due meetings aerei, nonchè la prima traversata delle Alpi, avevano lanciato dalle colonne della Gazzetta, l'appello per un raid Milano-Roma, non ancora tentato. “Occorre — pubblicava la Gazzetta del 23 febbraio 1913 — che gli italiani sappiano che nel nostro paese si costruiscono aeroplani migliori che all'estero“. Prontamente la Società Caproni-Faccanoni raccolse l'appello iscrivendo un proprio monoplano da 80 cavalli, che I'aviatore russo sollecitamente provvide a trasportare a Milano (Taliedo), da cui il 26 febbraio, secondo il regolamento, doveva avere inizio il volo. II foglio milanese sportivo dello stesso giorno scriveva: « Alle 5,45 giunse Slavorosoff. Saluta e sorride con un breve mugolio. E' vestito come ieri, quando giunse per vie aeree, dal campo Caproni di Vizzola Ticino: abito nero da società, scarpette da ballo. Sopra la giacca ha una maglia di lana, e sopra la maglia l'impermeabile. II collo è avvolto da uno scialle e in testa ha un berrettino. Da una tasca si leva le provviste da viaggio, il termometro, una busta di cartone per il barografo, il misuratore della benzina ed un'arancia”. E più oltre prosegue: “ Alle 7,10 il russo alza la mano e senza salutare emette una sorta di muggito, affinchè gli uomini aggrappati all'apparecchio si ritirino. Il monoplano balza in avanti e dopo quindici metri spicca ii volo; e dopo un minuto l'aeroplano a scomparso in direzione di Pavia”. Dopo Pavia, seguendo come stabilito, l'itinerario Voghera-Passo dei Giovi-Genova-La Spezia, il velivolo, per quanto contrastato da un forte vento, raggiungeva Pisa: per un malinteso si posava però a 3 chilometri dal campo d'aviazione. Ripartito il pomeriggio del giorno seguente, il bizzarro ma coraggioso volatore, investito, dopo Livorno, da violente raffiche di vento e di pioggia battente, era costretto a scendere in una zona accidentata, nei pressi della stazione di Poggio d'Agnello. Riparate le avarie, peraltro non gravi, riportate dalla macchina, spiccava nuovamente il volo nel tardo mattino del 28; ancora avversato da pessime condizioni del tempo, effettuava due altri avventurosi atterraggi d'emergenza: l'uno nelle paludose vicinanze di Montalto, in mezzo a una mandria di bufali; l'altro a Santa Marinella, in un terreno ineguale e contornato da alberi. Di qui, placatesi le furie del cielo, alle 7,19 del 3 marzo, si alzava in volo e trentotto minuti dopo, finalmente planava sulla Piazza d'Armi Vecchia di Roma. Nel commentare il volo, la Gazzetta del 3 marzo concludeva: “ Stiamo per dire che, per quanto assurdo possa sembrare, questo viaggio a sbalzi ha provato l'avvento sicuro dell'aeroplano come mezzo di comunicazione, più di quanto l'avrebbe provato il superbo raid Milano-Pisa se fosse continuato fino al traguardo finale”. Anche la Società Faccanoni-Caproni, per motivi press'a poco analoghi ai precedenti, non resse a lungo. Chiusa e liquidata la scuola di pilotaggio, le Officine Aeronautiche furono acquistate dallo Stato, che ne affidò la direzione tecnica allo stesso ingegnere trentino. Verso la metà del 1913, Gianni Caproni progettava il prototipo di quello che sarebbe stato uno dei suoi capolavori: un trimotore da bombardamento a cellula biplana, di enormi dimensioni, destinato a conferire alla nascente aviazione militare una grande potenza offensiva e distruttiva. I piani del trimotore, rimessi all'esame delle cosiddette sfere militari competenti, vennero accolti, come s'immagina, con un senso di diffidenza, se non di ostilità; e non v'e dubbio che il velivolo sarebbe stato costruito chissà quando, e forse mai, se in appoggio alla proposta di Caproni non fosse intervenuto il colonnello dell'Esercito Giulio Douhet, già figura di studioso di cose militari di alto prestigio, destinata a primeggiare nel campo della dottrina e della strategia aerea mondiale. In tempi in cui nessun generale, ufficiale superiore, ammiraglio credeva che in un prossimo domani l'aeroplano sarebbe diventato uno strumento risolutivo dei conflitti armati, Giulio Douhet, per la stessa tesi, cosi eterodossa nei confronti delle mentalità militare del tempo, si batteva con grandissimo ardore. Scrisse innumerevoli articoli elucubrando, con piglio brillante e battagliero, la teoria del “ Dominio dell'Aria”. Insomma: i piani del trimotore vennero accettati. Il trimotore fu costruito: mai prima del 1914 aveva solcato il cielo un apparecchio con apertura alare di 22 metri. Questo capostipite della numerosa famiglia di bombardieri giganti realizzati da Gianni Caproni era contrassegnato “Ca. 30” (Caproni-30); usci dalle officine Aeronautiche di Vizzola Ticino, pronto per ii volo, nell'autunno del 1914, mentre divampava in Europa la prima conflagrazione del mondo: era ai comandi Emilio Pensuti, un pilota di grande classe, forse il migliore del tempo. Al collaudo il biplano rivelò caratteristiche e prestazioni di volo superiori al previsto; prima della fine dell'anno vide la luce una versione migliorata. Nello stesso periodo l'ing. Caproni costruì vari tipi di aerei da caccia dotati di caratteristiche evolutive e di armamento idoneo al combattimento aereo. Purtroppo vennero preferiti dei modelli stranieri, e l’ing. Caproni si dedicò esclusivamente alla costruzione di aerei da bombardamento. Nel marzo 1915 l’ing. Caproni, allo scopo di creare una grande industria aviatoria, decise di fondare la “Società per lo sviluppo dell'Aviazione in Italia”, un organismo di tipo cooperativo, a “capitale illimitato”. Come operazione iniziale, furono riscattate e ampliate le Officine Aeronautiche di Vizzola Ticino e create, nel contempo, quelle di Taliedo, per la produzione in serie dei plurimotori. Poco più di due mesi dopo, il 24 maggio 1915, anche l'Italia entrava in guerra; nell'agosto si costituiva, a Pordenone, una prima sezione di “Ca. 32”, secondo discendente, in linea diretta, dell'accennato “Ca. 30”. Usualmente chiamato “Ca. 300 “ o “trecentino” — poichè azionato da tre motori FIAT da 100 cavalli, per un totale appunto di 300 HP — l'apparecchio riusciva a sollevare un carico utile (benzina, lubrificante, bombe, equipaggio), di 1000 chili; a sviluppare una massima velocità oraria di 115 chilometri, a salire, in assetto di guerra, a 4000 metri. L'armamento difensivo consisteva in due mitragliatrici, entrambe su torrette mobili. Aveva quattro uomini di equipaggio: due piloti, un motorista-mitragliere, un osservatore. A partire dal maggio-giugno 1917, il “Ca. 300”, venne progressivamente sostituito dal “Ca. 450 “ (in quanto tre motori raggiungevano ora una potenza globale di 450 cavalli), capace di sollevare un carico utile di 1500 chili e di volare ad una velocità di 125 chilometri l'ora. Fulmineo fu il successo del grande trimotore; le sue squisite caratteristiche belliche e di volo, la facilità di pilotaggio e gli eccellenti risultati raggiunti sul piano militare, sin dalle prime azioni, indussero gli alti comandi militari a costituire sollecitamente nuovi reparti. In meno di un anno fu creata una considerevole flotta di bombardieri. Il debutto sul fronte del “Ca. 300” risale al 20 agosto 1915, col bombardamento del campo d'aviazione di Aisovizza; il 7 ottobre fu la volta di Castagnevizza, cui parteciparono 9 apparecchi. Il mattino del 18 febbraio 1916, sei Caproni, sebbene fatti segno lungo il percorso al tiro contraereo ed agli attacchi della caccia nemica, sganciarono, su Lubiana 1800 chili di esplosivo; un aereo rientrò alla base con un morto a bordo, sfuggendo al nemico per l'eroismo dell'unico superstite, il cap. Oreste Salomone, pure lui ferito. Nel maggio-giugno dello stesso anno trentaquattro “Ca. 300” attaccarono Pergine; il 13 settembre ventidue Caproni lanciarono sull'idroscalo e l'arsenale di Trieste 5 tonnellate di esplosivo, e 14 di essi il 1° novembre, flagellarono di bombe i centri ferroviari di Duttogliano e Aurisnia. Ma non è possibile elencare tutte le azioni compiute, di giorno e di notte, nel corso della guerra, dai reparti Caproni. All'estero i Caproni vennero realizzati in serie, in Francia e in America. La Francia acquistò la licenza di fabbricazione degli aerei Caproni sin dal 1914, e sul fronte francese i “Ca. 300” effettuarono il primo bombardamento notturno. Allorquando nel novembre del 1918 si spense il conflitto, erano impegnati, nelle officine dei tre Paesi, specializzate nella produzione dei nostri bombardieri, oltre cinquantamila operai. Il diagramma produttivo dell'enorme complesso industriale, creato, sotto la spinta delle necessità militari, in quarantuno mesi di lotta, discese naturalmente in modo repentino al cessare delle ostilità. Tuttavia la crisi che venne a colpire l'intera nostra industria aeronautica, in singolar modo la “Società per lo sviluppo dell'Aviazione in Italia” trasformatasi, nel maggio del 1918, da Cooperativa, in Anonima, poteva essere mitigata, se il governo del tempo, per ragioni di prestigio, o a solo scopo difensivo, avesse determinato di conservare una consistente aliquota di reparti di volo. Per converso il governo, contagiato dal grave sbandamento sociale in cui venne, in breve, a trovarsi ii Paese, provvide con eccessiva premura, in modo pressochè totale, a smobilitare l'aviazione militare. Venne congedato in massa il personale navigante, tecnico e specializzato; chiusi gli aeroporti al traffico; svenduto, come residuato di guerra, il materiale tecnico; distrutti gli aeroplani sui campi. In un clima siffatto, Caproni, anzichè ritirarsi, riposare sugli allori, in attesa di tempi migliori, continuò sempre energico e ricco d'iniziativa, a lavorare. E pur non trascurando la progettazione e lo studio di nuovi modelli di apparecchi bellici, si dedicò al problema dell'aviazione commerciale. Fra il finire del 1918 ed il 1922, alcuni tipi di trimotori da guerra furono trasformati in aeromobili civili; dalla Società Caproni uscì altresì un grosso triplano pentamotore, della potenza globale di 2000 cavalli, in grado di trasportare, in una comoda elegante cabina, a due piani intercomunicanti, trenta passeggeri. Il massimo sforzo compiuto in quel periodo fu l'attuazione dell'idronoviplano. All'inizio del governo mussoliniano (1922) le nostre forze aeree, secondo un censimento disposto dallo stesso capo del governo, consistevano esattamente in 66 apparecchi efficienti, ma di un'efficienza precaria, che spesso sconsigliava i piloti, per evitare rischiosi atterraggi fuori campo, di allontanarsi dal cielo degli aeroporti. Nel gennaio del 1923 venne costituito il Commissariato per l'Aeronautica, e quattro mesi dopo la Regia Aeronautica. Con la creazione dei cosiddetti organismi autonomi e con un proprio bilancio, anche l'industria aeronautica riprese a pulsare; furono in concomitanza, ricostruiti i reparti ex-bellici delle tre specialità, caccia, ricognizione, e bombardamento. La flotta di quest'ultimo venne equipaggiata, all'inizio, con i vecchi “Ca. 450”. Nel 1924 I'ing. Caproni con il progetto di un biplano quadrimotore siglato “Ca. 66”, vinceva il concorso bandito dal Ministero dell'Aeronautica per un bombardiere pesante notturno; lo stesso apparecchio, trasformato poi in bimotore nei tipi “Ca. 73“ e “Ca. 74”, rimase per circa un decennio in dotazione alle nostre squadriglie. Nel susseguente triennio il nostro progettista-industriale attenderà alla realizzazione di velivoli di alto tonnellaggio, a struttura interamente metallica, i cui studi erano stati iniziati sin dal 1920, velivoli di potenza superiore ai duemila cavalli. E' del periodo il gigantesco biplano esamotore “Ca. 90” da 6000 cavalli, idoneo a sollevare un carico utile di 15 tonnellate. Con il “Ca. 90” , governato dal collaudatore Domenico Antonini, pilota di eccezionale perizia, furono conquistati vari records di altezza e di durata con carico. Ampliatisi intanto gli stabilimenti Caproni, la Società Anonima di cui s'è detto prese il nome di “Aeroplani Caproni S.A.“ Milano (Taliedo); indi per risolvere il quesito della penetrazione all'estero, sorsero la “Caproni-Curtiss”, con officine a Baltimora, negli Stati Uniti, e la “Caproni-Bulgara” con sede ed impianti a Kazanlik, in Bulgaria. Sin'ora (siamo nel 1927) l'ingegner Caproni aveva progettato e costruito, fra modelli sperimentali e velivoli di serie, 87 diversi tipi di apparecchi, nelle due versioni militare e civile; altri 92 modelli attuerà nei venticinque anni seguenti. Aveva inoltre registrato 160 brevetti aeronautici d'ogni genere. Nel 1928 Mario De Bernardi, già recordman di fama mondiale, vincitore della Coppa Schneider di velocità pura, e uno dei massimi aviatori di ogni tempo, lasciava l'Aeronautica Militare per assumere la carica offertagli da Caproni, di consulente tecnico e capo-collaudatore della Società. Tre anni dopo il sorprendente pilota vinceva a Cleveland in U.S.A., a bordo di un “Ca. 113” appositamente costruito per le evoluzioni più spinte, il “National Air Race”, competizione internazionale d'alta acrobazia. E nel 1933 lo stesso De Bernardi con un “Ca. 111” effettuava il raid Milano-Mosca-Milano. Tra il 1934 ed il 1938, il nome di Caproni ricompare nelle prime pagine dei quotidiani, per la conquista di tre importanti primati, quelli assoluti mondiali di altezza. In sintesi di date, di nomi e di cifre, essi sono nell'ordine: 11 aprile 1934, pilota Renato Donati, apparecchio “Ca. 113-AG”, altezza raggiunta, metri 13.553; 20 giugno 1935, pilota Carina Negrone (primato femminile), apparecchio “Ca. 113-AQ”, altezza metri 12.043; 22 ottobre 1938, pilota Col. Mario Pezzi, apparecchio “Ca. 161-bis “ munito di cabina a tenuta stagna, altezza raggiunta metri 17.093. Mentre venivano portate a termine imprese di cosi elevato valore tecnico e sportivo, la produzione di serie della “Aeroplani-Caproni” si affermava nei cieli di Etiopia, durante la nota campagna del 1935. Centinaia di “Ca. 101”, “Ca. 111”, “Ca. 133”, monoplani trimotori espressamente costruiti per I'impiego coloniale, robusti, veri muli dell'aria, contribuivano in sensibile misura alla veloce soluzione del conflitto: furono impiegati in massa come bombardieri e assaltatori; assolsero compiti logistici di varia mole, rifornendo di viveri, munizioni, equipaggiamenti, materiali bellici, interi corpi d'armata in movimento nel cuore del territorio nemico; vennero usati per lo sbarco e il trasporto di truppe; in funzione sanitaria, di salvataggio e in vari altri modi. E arriviamo cosi alla vigilia della seconda guerra mondiale. E' necessario ricordare a questo punto, come in tal periodo, la ditta “Aeroplani Caproni” associatasi in precedenza ad altri gruppi industriali, fosse giunta a controllare l'attività di circa 40 organismi, sparsi in ogni regione d'Italia. Questi organismi producevano motori d'aviazione, cellule e aerei di vario tipo, strumenti per la navigazione aerea, legni compensati, armi per velivoli, sostanze chimiche, attrezzature e congegni aeronautici, etc. Producevano, in una parola, materie prime e materiali finiti, comunque attinenti all'attività industriale aeronautica della “Societa Caproni”. Ma torniamo ai primati. Il 15 settembre 1939, il Ten. Col. Nicola di Mauro, a bordo di un “Ca. 161-NS” derivato dall'aereo di Pezzi, batteva il record del mondo per la categoria idrovolanti, salendo a 13554 metri e, sette mesi dopo, poco prima dello scoppio della guerra, Mario De Bernardi collaudava, sul campo di Taliedo, iI primo aerogetto del mondo, disegnato dall'ing. Campini e costruito negli stabilimenti Caproni. Pilotando il esemplare dello stesso velivolo, il grande asso, assieme ad un copilota (l’ing. Pedace) volava, il 30 novembre 1941, da Milano a Roma, aggiudicandosi la priorità mondiale di un raid compiuto con una macchina aerea propulsa da un dispositivo a reazione. Il conflitto intanto, fra un alternarsi di modeste vittorie e di tremende disfatte, marciava a grandi passi verso la catastrofe. Ogni industria italiana, segnatamente quella aeronautica, si dibatteva in difficoltà via via crescenti, difficolta causate dalla carenza di materie prime, dalla mancanza di direttive precise, cui si aggiunsero ben presto i gravi danni causati dalle incursioni aeree nemiche. Nonostante ciò il possente, eclettico apparato industriale edificato dall’ing. Caproni rimase in piedi, riuscì a conservare in gran parte la propria efficienza e sinanco a migliorare, in senso qualitativo, la produzione del materiale di volo. Nel tratto di tempo strettamente bellico, l'ingegnere trentino promosse la progettazione e la costruzione fra velivoli sperimentali e di serie, di 20 diversi modelli; fra essi meritano particolarissimo cenno i monoposti da caccia realizzati dalla “Reggiane”. Nei giorni in cui si profilava la partecipazione dell'Italia alla guerra, il magna pars e il cervello animatore del grandioso complesso industriale, che pur era specializzato nella costruzione di apparecchi e di ordigni bellici, si adoperò, con tutte le sue forze, affinchè il Paese conservasse la neutralità; ebbe in proposito colloqui, alle volte drammatici, con eminenti personalità militari e politiche del tempo. Non fu ascoltato. Scoppiato il conflitto, consapevole delle enorme responsabilità che gravavano sulle sue spalle, chiese ai suoi collaboratori di compiere ogni sforzo. E generosità e fermezza dimostrò durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana: protesse dipendenti ricercati dalla polizia nazifascista; testimoniò a favore dell'Ammiraglio Campione, condannato a morte; si oppose alle persecuzioni razziali; resistette alle pressioni dei tedeschi, di trasferire in blocco maestranze, macchinari e apparecchiature tecniche in Germania. Terminate le ostilità, la Societò Caproni subì la triste sorte di tutte le fabbriche aeronautiche italiane: il governo determinò di sopperire alle esigenze immediate e future dell'aviazione militare civile, con materiale americano; le maestranze, prive di lavoro, furono per ragioni politiche, accresciute, e l'ing. Caproni fu costretto dai sui stessi dipendenti, sotto la minaccia di armi spianate a firmare concessioni assurde. Non basta. Furono uccisi alcuni dei suoi direttori d'officina e spiccato mandato di cattura contro la sua persona. Si nascose e per circa due anni l'amministrazione delle officine Caproni, affidata a mani incapaci, fece debiti su debiti insino a registrare un deficit pauroso. Finalmente revocato il mandato di cattura, Gianni Caproni riprese in mano le redini dell'azienda, ma ogni sforzo fu vano. Fece parecchi viaggi all'estero con la speranza di procurare lavoro alle migliaia di operai, di specialisti e di tecnici che languivano nei suoi stabilimenti. In uno di questi viaggi (negli Stati Uniti) fu ricevuto dal presidente Truman. Nel Gabinetto Presidenziale, alle pareti, una accanto all'altra, erano appese due grandi fotografie: quella di Wright e quella di Caproni. Ma ogni sforzo, ripetiamo, fu inutile. I debiti contratti durante la forzata vacanza di Gianni Caproni raggiungevano cifre astronomiche; seguì la vendita degli impianti, l'esproprio, il fallimento delle officine-base, ossia della “Caproni Taliedo-Isotta Fraschini” e della a CEMSA. Da queste ceneri rinacque tuttavia la “Caproni Trento”, da cui usci nel 1951, l’” F5” un brillante aviogetto leggero da turismo e da Scuola. In quel periodo inoltre l’ing. Caproni concepì e costruì il “Ca. 193” un aero-taxi e velivolo d'affari, a cinque posti, e firmò il progetto del “Ca. 8000” un veloce transaereo capace di trasportare 200 passeggeri. Con entrambi i velivoli, specie col secondo, l'ingegnere precorse ancora una volta i tempi: il “gigantismo” infatti, nel settore dell'aviazione commerciale è oggi di grande attualità. Fu il canto del cigno del grande progettista-inventore-industriale. Tre mesi prima della morte — avvenuta a Roma il 27 ottobre 1957 — Gianni Caproni, che nell'anteguerra era stato nominato Cavaliere del Lavoro e Conte di Taliedo, ricevette dall'Ambasciatore degli Stati Uniti, Zellerbach, l'ultimo riconoscimento: il diploma dell'Università Aeronautica Americana, decretatogli dal Presidente Eisenhower.
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